Misura delle tensioni residue

Prima e dopo i trattamenti termici è possibile eseguire misure di tensione residua direttamente sui manufatti con le tecniche diffrattometrica (a raggi X), col il metodo estensimetrico e col sistema a rumore di rumore di barkhausen. La conoscenza del valore dello sforzo residuo presente sulla superficie di un pezzo prima della messa in esercizio risulta di particolare interesse:

  • per i progettisti, per un corretto dimensionamento dei manufatti
  • per coloro che sono incaricati del monitoraggio di strutture particolarmente soggette a fenomeni di fatica e/o di corrosione, per prevedere i tempi dopo cui possono manifestarsi problemi di criccatura, stabilire le necessarie indagini non distruttive (metodi e periodicità) e procedere con le eventuali riparazioni.

I metodi di misura delle tensioni residue

I metodi per misurare le tensioni residue utilizzati in Trater sono tre.

  • Metodo diffrattometrico: si basa sulla misura, con grande precisione, dell’angolo formato da un raggio, generato da una apparecchiatura radiogena, incidente sulla superficie dell’oggetto da misurare e il suo fascio rifratto.
  • Metodo estensimetrico: si basa sulla misura delle deformazioni prodotte dal rilassamento delle tensioni all’intorno di un foro praticato al centro di una rosetta estensimetrica, composta da tre estensimetri orientati triassialmente.
  • Rumore di barkhausen: misura in funzione di proprietà magnetiche del materiale.
Il metodo diffrattometrico è un metodo completamente non distruttivo che consente misure superficiali. Questa limitazione è facilmente superabile con l’attacco elettrolitico della superficie, che rende possibile le misure in profondità nel materiale, senza alterare il suo stato tensionale residuo. Lo sviluppo della tecnica di misura e delle apparecchiature ha reso possibile l’esecuzione di rilievi di tensione residua direttamente su manufatti, anche di grandi dimensioni, con estrema precisione.
Il metodo estensimetrico, normato dallo standard ASTM E 837, è un procedimento semidistruttivo in quanto è necessario eseguire un foro, di diametro 1,8 mm e profondità di 2 mm, sulla superficie del pezzo da misurare. I risultati, da ritenersi validi fino a valori pari a metà del valore di snervamento del materiale esaminato, sono caratterizzati da un´ottima accuratezza. Il metodo è applicabile in opera, anche su strutture di grandi dimensioni.
Quando gli spin in un materiale ferromagnetico ruotano per allinearsi ad un campo indotto, lo fanno in modo impulsivo, producendo nell’induttore dei picchi di tensione che, se amplificati con una cassa acustica, vengono percepiti dall’orecchio umano come “rumore”. Il termine “rumore di barkhausen”, deriva da questo fenomeno e prende il nome dal fisico che lo ha scoperto. Il rumore di barkhausen è influenzato principalmente dalle proprietà meccaniche del materiale e dal suo stato tensionale (trazione o compressione). Una volta definito l’effetto delle prime, la differenza rispetto al segnale percepito è l’effetto di una eventuale compressione (riduzione del rumore rispetto allo standard) o compressione (aumento del rumore). Elaborando digitalmente il segnale con appositi software è possibile definire una scala.

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Cosa sono le tensioni residue

Tutti i materiali sono soggetti a tensioni residue, siano essi cristallini o amorfi. Per tensione residua si intende lo stato di sforzo esistente in un solido elastico in equilibrio, una volta rimossi i carichi esterni costituti da forze, coppie e sforzi applicati e altre cause di tensione come ad esempio un gradiente termico.

Le tensioni residue vengono generalmente considerate un contributo “negativo” per l’utilizzo di un pezzo, in quanto di entità difficilmente stimabile e sicuramente aggiuntiva rispetto a quella nota, applicata al componente in esercizio, mettendo a rischio l’affidabilità, la sicurezza e comunque la prevedibilità del comportamento. Tensioni residue di trazione sono causa di rotture in costruzioni soggette a fatica; per il noto fenomeno dello stress corrosion cracking, sono responsabili dell’insorgenza di cricche in manufatti esposti ad ambienti anche blandamente corrosivi. Stati tensionali di trazione e/o compressione determinano, inoltre, instabilità geometrica durante la lavorazione meccaniche e l’esercizio del componente.

Si distinguono tre tipi principali di tensioni residue:

  • Tensioni residue del 1° tipo (MACROSTRESSES) Interessano l’intero corpo, provocano una deformazione globale delle distanze interreticolari e sono omogenee su larghi domini del materiale.
  • Tensioni residue del 2° tipo (MIDSTRESSES) Interessano diversi grani cristallini (quindi aree ridotte del materiale) e sono causate dalla presenza, per esempio, di cricche e inclusioni. Tra queste sono annoverabili le tensioni di solidificazione e i precipitati di ampia estensione.
  • Le tensioni residue del 3° tipo (MICROSTRESSES) Interessano regioni di dimensioni inferiori a quelle del grano cristallino. Sono indotte principalmente dai difetti reticolari.

L’interesse ingegneristico è focalizzato prevalentemente sulle tensioni del primo tipo in quanto, generalmente, determinanti per il comportamento in esercizio del componente.

Origine delle tensioni residue

Gran parte dei manufatti sono interessati dalla presenza di tensioni residue non nulle, introdotte dai processi di saldatura, dalle lavorazioni di deformazione plastica, dalle lavorazioni per asportazione di truciolo e dai trattamenti termici e superficiali.
L’esecuzione di una saldatura provoca sempre l’insorgenza di tensioni residue di trazione e compressione; accorgimenti particolari adottabili nella fase esecutiva del giunto ne limitano solo il valore e la distribuzione. Gli sforzi residui da saldatura sono legati a deformazioni plastiche ed elastiche del materiale sottoposto a rapido riscaldamento e raffreddamento. In particolare, in prossimità della fonte di calore, il materiale che viene localmente liquefatto tende ad espandersi. Il materiale base circostante, più freddo, impedisce tale espansione. Successivamente la zona fusa si raffredda velocemente e si contrae in maniera non uniforme; essendo il materiale base più freddo e non-deformato, si viene a creare uno stato di tensioni causate da deformazioni microscopiche, sollecitazioni da transitorio e cambiamenti di fase che contribuiscono alla formazione di uno stato di sforzo residuo.

Si sviluppano durante un processo di saldatura tensioni residue in direzione longitudinale, trasversale e, nel caso di giunti di alto spessore, perpendicolare. La distribuzione e l’entità delle tensioni residue varia in relazione alla geometria dei giunti e in conseguenza di altri fattori, quali le condizioni di vincolo, la presenza di stati tensionali dovuti a precedenti lavorazioni, ai parametri di saldatura, la procedura impiegata e la natura del materiale di apporto. Le tensioni residue di trazione nella zona termicamente alterata sono quelle dannose in quanto contribuiscono allo sviluppo di eventuali cricche durante il processo di solidificazione, determinano una riduzione della vita a fatica del giunto e rotture dovute ai fenomeni di stress corrosion cracking.
I materiali metallici sono caratterizzati in misura maggiore o minore dalla capacità di deformarsi plasticamente. Superato il limite elastico il materiale si deforma in modo permanente, a volume costante per scorrimento dei piani di atomi, l’uno rispetto all’altro. Questo scorrimento non avviene in modo casuale ma, di preferenza, secondo i piani di maggior densità atomica e su questi nelle direzioni di maggior densità.

La combinazione di una direzione e di un piano di scorrimento si chiama sistema di scorrimento. In presenza di deformazione plastica di una porzione più o meno estesa di un solido elastico, la condizione di equilibrio tra la parte di materiale deformata in modo permanente e la parte restante, induce una distribuzione di sollecitazioni elastiche (cioè di tensioni residue) per il mantenimento della continuità di volume e l’integrità strutturale. In generale, tutte le lavorazioni con deformazione plastica di un materiale come, per esempio la laminazione, la piegatura, lo stampaggio, la trafilatura, e la calandratura generano stati di stress residuo di elevata entità. Nei solidi metallici le deformazioni plastiche sono generalmente causate, a livello microscopico, da difetti del reticolo, chiamati dislocazioni, che facilitano lo scorrimento dei piani cristallini muovendosi attraverso il materiale. Quando la deformazione avviene a bassa temperatura, questi difetti tendono a moltiplicarsi e ad accumularsi finendo per interferire tra loro, bloccandosi a vicenda e incrementando lo stato tensionale residuo (incrudimento). L’entità e la distribuzione delle tensioni residue nei manufatti ottenuti per deformazione plastica dipende dalle modalità con cui viene condotto il processo, dalle attrezzature utilizzate e dalle forze impiegate. La laminazione delle lamiere, in genere, determina stati di compressione superficiale nel caso siano utilizzati rulli di piccolo diametro; si ha trazione con rulli di grande diametro. I processi di piegatura dei metalli, largamente utilizzati in campo industriale, inducono compressione sull’estradosso, a seguito del ritorno elastico, trazione sull’intradosso, con valori prossimi allo snervamento del materiale. L’operazione di stampaggio a freddo di un oggetto tridimensionale di forma corrispondente a quella di una matrice sulla quale viene fatta adattare la lamiera, per azione di un contro-stampo, genera stati tensionali elevatissimi di trazione e compressione con le stesse modalità viste per la piegatura. Nei processi di trafilatura, si possono avere sforzi residui a causa della deformazione non omogenea Anche la raddrizzatura a freddo, largamente utilizzata per correggere deformazioni di manufatti che hanno subito distorsioni durante il processo di fabbricazione, determina uno stato di tensione residua molto elevato. Le tensioni risultanti possono essere ulteriormente influenzate dalla presenza di instabilità strutturali.

Le lavorazioni meccaniche possono indurre tensioni residue nello strato superficiale delle superfici lavorate. In particolare, nella lavorazione per asportazione di truciolo quali i processi di tornitura, foratura e fresatura generalmente si determina un’azione di strappo con l’introduzione di tensioni residue di trazione.

L’utensile sollecita il materiale davanti a sé finché quest’ultimo si deforma plasticamente. La deformazione si spinge fino alla rottura e conseguente separazione fra sovrametallo e pezzo. Il sovrametallo da origine al truciolo che scorre sull’utensile.

Su superfici in acciai da tempera lavorate al tornio abbiamo misurato, con l’utilizzo della tecnica difrattometrica, anche tensioni di trazione con valori elevatissimi, prossimi al limite di snervamento del materiale. Nel corso delle analisi da noi effettuate è emerso, inoltre, che la distribuzione nello spessore e l’intensità delle tensioni residue dei campioni da noi esaminati, dipendeva:

  • dal tipo di materiale;
  • dalla geometria dell’utensile;
  • dalla profondità delle passate;
  • dalla velocità di taglio;
  • dalle condizioni di lubrorefrigerazione;
  • dall’usura dell’utensile.

Per il medesimo meccanismo visto per le operazioni di tornitura, anche per le lavorazioni di fresatura e foratura si ha sulla superficie dei pezzi, generalmente, l’insorgenza di stati di tensione residua di trazione.

Le lavorazioni di rettifica generano uno stato tensionale residuo di trazione ma, in questo caso, è generato da un riscaldamento superficiale notevole (lavorazione per asportazione di truciolo a velocità elevata), soprattutto su materiali a bassa conducibilità termica. Se il calore sviluppato è eccessivo provoca un aumento del volume specifico del materiale in superficie e il successivo brusco raffreddamento appena terminata l’interazione con l’utensile. Questo provoca un ricalcamento a livello microscopico durante il surriscaldamento e un ritiro termico ostacolato dal materiale non interessato dall’alterazione termica.

La tempra ad induzione e i trattamenti di nitrurazione largamente utilizzati per ottenere elevata durezza e tenacità del materiale, generano uno stato di compressione superficiale, con miglioramenti del comportamento a fatica che varia in funzione della profondità dello strato indurito. Alla compressione in pelle, per equilibrio di forze, si contrappone uno stato di trazione nelle zone di transizione tra la parte indurita e il cuore non indurito e, in taluni casi, manufatti trattati sviluppano cricche in questa regione. Ciò è attribuibile al fatto che le proprietà fisiche e strutturali dell’acciaio nella fascia di transizione sono inferiori a quelle dello stato indurito e gli sforzi residui di trazione, in combinazione col carico applicato, sviluppano un effetto d’intaglio. In generale poi, lo stato di compressione è causa di instabilità geometrica degli alberi in lavorazione meccanica ed esercizio.

Effetti delle tensioni residue

Generalmente le tensioni residue sono considerate indesiderabili in quanto possono essere causa di deformazioni, distorsioni, sono promotrici di innesco e propagazione di cricche meccaniche o da stress corrosion cracking, con prematura rottura dei componenti soggetti a fatica.

Questo fenomeno è sicuramente quello di maggior interesse per tutti coloro che devono confrontarsi con i problemi legati alla corrosione. Uno stato di sollecitazione con forze di valore inferiori a quelle necessarie per portare ad una frattura puramente meccanica può dar luogo a formazione di cricche locali quando sussiste l’azione combinata con un ambiente anche blandamente aggressivo. La tensocorrosione si manifesta in rotture con aspetto di cricche, con andamento ortogonale alla direzione di sollecitazione, ramificate e di tipo fragile tanto che, in moltissimi casi, sono erroneamente attribuite a fragilità propria del materiale.

Il meccanismo della tensocorrosione e le modalità con cui le cricche progrediscono viene spesso descritto con un modello molto semplice, al limite del rigore scientifico, ma facilmente comprensibile. Il materiale deve essere immaginato come un lembo di stoffa a trama filata, un lato del quale, tenuto in trazione da uno sforzo, anche non molto intenso, viene in contatto con una lama molto affilata che si appoggia perpendicolarmente sul lato teso. Lo sforzo applicato alla tela rappresenta in modo immediato lo stato di trazione superficiale e la lama l’azione del fluido aggressivo. Il contatto della lama con la prima fibra sotto tensione recide quest’ultima esponendo al taglio la successiva sottostante che viene recisa a sua volta, e così via. Senza l’azione della tensione esercitata sulle fibre la lama non avrebbe alcun effetto sul tessuto rilassato e la sola azione dello sforzo di trazione risulterebbe innocua agli effetti di qualsiasi rottura.

Nella tensocorrosione l’azione contemporanea tra le forze chimiche e meccaniche conducono all’innesco e alla propagazione della rottura. Le principali variabili metallurgiche nel fenomeno della corrosione sotto sforzo sono:

  • il tipo di materiale;
  • la sua composizione chimica;
  • la struttura metallurgica (distribuzione nella microstruttura dei precipitati, orientamento dei grani, interazioni delle distribuzioni, quantità di ferrite nella ghisa e per l’acciaio inossidabile o acciaio austenitico-ferritico);
  • la presenza di stress termici;
  • la condizione della superficie e la struttura formata a freddo.

Il fenomeno di stress corrosion cracking si manifesta senza alcun preavviso, rendendo questa forma di attacco estremamente pericolosa. A causa della tensocorrosione si sono registrati lo scoppio di caldaie, apparecchiature chimiche, il cedimento di carrelli d’aereo e di funi metalliche. In strutture saldate, le tensioni residue sono la causa dell’innesco delle cricche per tensocorrosione. Sono soggette a questo fenomeno le leghe e non i metalli puri, in particolari combinazioni metallo/ambiente. Gli acciai inossidabili sono attaccati in ambiente cloridrico e caustico ma resistono, in genere, in ambiente ammoniacale e nitrico; gli acciai al carbonio, invece, sono immuni in ambiente ammoniacale ma non in quello nitrico e caustico.

Le tensioni residue hanno influenza negativa sul fenomeno di infragilimento da idrogeno che si determina in seguito all’assorbimento di questo elemento da parte del materiale in particolari condizioni quali possono verificarsi in impianti chimici e petroliferi (fluidi ad alta pressione contenenti l’idrogeno) o per cicli tecnologici quali il decapaggio, l’elettroplaccatura o l’elettroerosione. Sono soggetti ad infragilimento gli acciai al carbonio, il titanio, lo zirconio e le loro leghe, in presenza di tensione residua, difetti superficiali e situazioni di tempra locale dovuti alla presenza di giunti saldati. In considerazione di ciò, mentre un acciaio dolce non manifesta questo problema, acciai ad alto snervamento sono particolarmente sensibili al fenomeno.

Questo tipo di cedimento ha origine dall’ingresso di idrogeno atomico in un metallo. L’atomo di idrogeno ha un diametro piccolo rispetto a quello di altri atomi e questo gli consente di occupare facilmente gli spazi vuoti all’interno del reticolo metallico.

L’idrogeno nei metalli ne altera le caratteristiche meccaniche. Negli acciai, provoca un aumento della fragilità, diminuzione del modulo di elasticità e della resilienza, aumento della durezza. Oltre all’infragilimento da idrogeno, l’ingresso di idrogeno atomico nel metallo può provocare blistering, che consiste nella formazione di rigonfiamenti e cricche per effetto della ricombinazione, in corrispondenza di inclusioni o microvuoti nella matrice metallica, di atomi di idrogeno.

Le molecole di idrogeno, di dimensioni tali da non poter diffondere nel reticolo metallico, si accumulano e generano pressioni interne estremamente alte, sufficienti a provocare localmente la deformazione plastica del metallo, che può evolvere in cricche.

Le tensioni residue di compressione hanno invece un effetto positivo, sulla fatica e sul fenomeno della corrosione sotto sforzo, tanto da essere indotte sulla superficie dei pezzi mediante i processi di pallinatura (Shot peening). Vedere la pagina dedicata nella sezione “Altre attività”.

Influenza delle tensioni sulle caratteristiche meccaniche di una saldatura

L’influenza sulle caratteristiche meccaniche di un giunto saldato dello stato tensionale residuo potrebbe essere considerata irrilevante se immaginassimo le saldature prive di difetti e sottoposte a carico statico, in condizioni non critiche. Normalmente, infatti, gli acciai impiegati possiedono una duttilità e deformabilità plastica sufficiente a permettere la sovrapposizione dello stress residuo agli sforzi di esercizio. Nel caso delle saldature con spessori elevati però, dove è possibile avere una triassialità delle tensioni con limitazione della plasticizzazione del materiale, diventano non trascurabili.

I pezzi complessi con molti cordoni di saldatura che si intersecano in varie direzioni, sono equiparabili ai giunti di alto spessore e, anche in questo caso, la pericolosità di elevati valori di tensione residua costituiscono un grave pericolo. Ogni saldatura inoltre presenta dei difetti; se la maggior parte degli stessi è eliminabile come nel caso delle cricche, delle mancanze di penetrazione e delle incisioni, difficilmente o a costi troppo elevati si può rendere un giunto completamente esente da imperfezioni. In queste condizioni la presenza di tensioni residue di saldatura può provocare l’innesco di rotture, con conseguenze anche catastrofiche, sopratutto a basse temperature.

In base agli studi più recenti, l’influenza delle tensioni residue sembra determinante sulla comparsa e l’avanzamento di cricche nel caso di giunti sollecitati a fatica, cioè a cicli di carico e scarico periodici. Quando un componente meccanico o un’intera struttura vengono caricati con forze esterne ciclicamente o casualmente variabili, ripetute nel tempo, può avvenire una rottura a fatica, anche se nessuno dei cicli di carico applicati potrebbe apparentemente danneggiare il componente.

Il fenomeno della rottura per fatica progredisce in tre stadi: la formazione di una cricca, la sua crescita ed infine la rottura. La vita di un componente quindi è data dal numero di cicli occorrente per produrre e propagare la cricca, sino a raggiungere le dimensioni critiche. La formazione della cricca avviene sulla superficie del pezzo. In questa zona sono presenti, a causa della geometria, le concentrazioni di sforzo più gravose, le imperfezioni superficiali dovute ai processi tecnologici subiti e l’influenza delle tensioni residue è massima.

Una rottura avviene sempre a partire da una discontinuità orientata sfavorevolmente rispetto alle forze agenti (di esercizio e residue) e le modalità di propagazione della cricca dipendono dalle dimensioni e dalla forma della zona plasticizzata del materiale, all’apice della rottura stessa. La rottura può proseguire solo se nella zona plastica si raggiungono condizioni critiche di deformazione, ben al di sopra dei valori di snervamento del materiale. Le tensioni residue, eventualmente presenti nel punto di innesco della rottura, incrementano localmente lo stato di sollecitazione e, nel contempo, assumendo una distribuzione di tipo triassiale, limitano le deformazioni plastiche e favoriscono la propagazione della rottura.

Al termine della costruzione, entro la massa metallica di un manufatto, la distribuzione delle tensioni residue è tale da costituire un sistema in equilibrio stabile.

Durante l’asportazione di truciolo, nella lavorazione meccanica di pezzi, si ha contemporaneamente l’eliminazione di una parte delle tensioni con il materiale asportato e una modifica della sezione geometrica delle superfici su cui agiscono le tensioni stesse. E’ inevitabile a questo punto il movimento del pezzo per l’alterazione dell’equilibrio che si era stabilito prima della lavorazione meccanica. In esercizio, inoltre, gli stati tensionali residui di entità elevata, possono facilmente sommarsi alla sollecitazione di esercizio, molto inferiori agli stress residui, determinando deformazioni locali del pezzo con conseguenze sicuramente negative.
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